Title | : | L'acquario di quello che manca |
Author | : | |
Rating | : | |
ISBN | : | - |
ISBN-10 | : | 9788834600498 |
Language | : | Italian |
Format Type | : | Hardcover |
Number of Pages | : | 752 |
Publication | : | First published December 2, 2021 |
L'acquario di quello che manca Reviews
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Quello che 25 anni (abbondanti) fa fu il leggendario Paura e desiderio sul cinema, questo è, oggi, sulla televisione: una raccolta di tutti (o quasi) gli articoli scritti da ghezzi sulla TV, sulla sua idea di TV che è, ovviamente, un'idea cinematica, che tratta la televisione non come pura espressione del potere (dei poteri), ma anche nella sua fase latente/inconscia che la porta a essere avanguardia. L'avanguardia di Chi l'ha visto?, del Grande fratello, di Maurizio Costanzo.
Come al solito con ghezzi, riflessioni argutissime e scrittura magnifica (circonvoluta, indecifrabile, gaddiana, giocosa). Imperfetto perché raccogliendo i vari articoli scritti per diversi giornali e riviste, a volte tende a ripetere le stesse cose, ma la qualità è sopraffina.
Alcuni (menomi) esempi, che potrebbero essere molti di più viste le 700 pagine, ma mi limiterò:
"Sovrabbondanza, sovrimpressioni, ore piene, tempi paralleli senza via d'uscita. Come accade ogni domenica con Domenica in e Blitz. Due tempi lunghi, due tentativi di televisione 'totalitaria', fortunatamente mascherati dietro bonomia e complicità, contenitori entrambi di spettacolini e immagini per tutti i gusti. Due filosofie diverse. Due domeniche fa il personaggio ospite di Minà-Blitz era Monica Vitti: saluti, familiarità, strizzate d'occhio tra amici, grande spreco per mostrare immagini vere di simpatia e appunto complicità tra tutti i presenti in studio, tutti facenti parte di una stessa sotto-classe (spettacolo-cultura-celebrità) e accomunati dalle cene in trattoria della sera prima. E Blitz offre questa immagine vischiosa e compatta, nonostante il titolo, mediazione tra cultura alta e spettacolo basso che si mostra ammiccante 'tale e quale' al pubblico. Saltavi sulla rete uno per la domenica insieme a Baudo e trovavi lo stranito e lunare Antonioni Michelangelo da Ferrara sottoposto all'ineffabile interrogatorio di Pippo. Subito pensavi all'ennesima bizzarra coincidenza, all'eccesso, al pieno-pienissimo che è poi scarsità. Vitti di qua e Antonioni di là, due protagonisti dell'incomunicabilità che la ribadiscono e la negano contemporaneamente divisi in canali sotto gli occhi di milioni di spettatori. Ma il professionismo di Baudo ghiacciato mostrava la diversità del meccanismo Domenica in, meno moderno ma molto più televisivo: non mostrare la mediazione (alto-basso, così gratificante) ma darla da fare al mezzo stesso, alla televisione, trasmettendo magari pari pari la differenza e la distanza tra i poli."
"Il Grande Fratello, come tutti gli innocenti, sgomenta e spaventa. Purtroppo... non c'è nulla da illudersi: farà pochi danni, nonostante le benintenzionate e virtuose e a volte intelligenti paure e grida di allarme. [...]
Magari, magari questi nipotini del Grande Fratello (dichiaratamente recintati e antitotalitari, antropologicamente corretti, mirati al loro target pubblicitario-spettacolare) avessero la forza panica di far(ci) avvertire e risentire l'intensità tecnicoautomatica, selvaggia e oltreumana, che già il cinema al suo primo apparire incarnava. Sono invece troppo 'scritti', con troppe regole del gioco, ovviamente troppo attenti alla resa spettacolare, ancora protettivi timidi reticenti (diciamo pure per fortuna, per eco residua di tabù recenti) anche riguardo alla tensione forte e inevitabile verso una 'scrittura feroce' di tipo circense sentimentale gladiatorio."
"MTV. La tengo spesso accesa. Come sempre nel cinema musicale, ammutolendola la vedi, e ne vedi proprio la sostanza di canzone: utopia del song (il cinema musicale è il cinema più muto che ci sia). E vedi le frecce che oscura qualunque cosa. Non l'eccesso di tagli (che poi non regge mai fino in fondo il proprio parossismo; così fosse, almeno...), lo sfrenarsi del montaggio fino a infrenarsi. Piuttosto, l'accumulo di sguardi tagliati, interrotti, mai sostenuti fino in fondo o fino a un fondo o fino al fondo degli occhi. Ogni stacco, una morte possibile, una caduta, uno schianto e l'oblio istantaneo; la morte come ininterrotta galleria di specchi."
"L'intenzione principale di Blob potrebbe essere riflettere la - non sulla - televisione, mostrando contemporaneamente l'impossibilità di rifletterla. La mia definizione però è questa: Blob è il più puntuale esempio di archeologia del presente televisivo, come un vetrino nel quale si fanno reagire alcune cellule televisive. Se, attraverso l'occhio di un dio che visiona tutte le TV del mondo, allargassimo a prospettiva cosmica questa osservazione, ne risulterebbe un immenso blob."
"Riguardo al tempo, adesso su Raitre sta girando Heimat, la cui prima parte copriva una quarantina d'anni, la seconda parte una quindicina d'anni, e qualcuno, scherzando, disse a Reitz che avrebbe dovuto fare trenta ore su un minuto, su un'ora. Credo che la televisione sia questo: l'esperienza della possibilità televisiva dei canali, dei flussi paralleli, ci dà la possibilità di girare il mondo e di girare il tempo, i tempi. In un minuto puoi esperire un senso di interminarietà concentrato, cioè micro e macro con la televisione - per questo dicevo che la televisione è qualcosa che si avvicina in atto, è un esperimento continuo, senza forma, senza sostanza, come possibilità di forma, come forma della forma. Quella del tempo è sicuramente la forma più vicina ad essere la forma della televisione - se ci fosse una forma della televisione."
"INTERVISTATORE: Secondo lei l'ultimo Karl Popper, che invocava una sorta di 'patente' per gli uomini della TV, a voi di Blob l'avrebbe rilasciata
GHEZZI: Non lo so, spererei proprio di no. Potrei anche premettere che io in Rai ci sono entrato per concorso, l'ultimo - del '78! - per programmisti registi, quindi una specie di patente ahimè l'ho avuta. Ma credo che quello di Popper, come tutti i tentativi tardivi di correre ai ripari, sia molto pericoloso. Se devo essere sincero io a queste mediazioni piccolo-borghesi - 'ci vogliono limiti', ' bisogna riscrivere le regole', 'occorrono autorizzazioni' -, non credo per niente. Meglio allora la posizione rigorosa, apocalittica, di chi dice di spegnere lo schermo perché la TV fa male. Tutta la cosiddetta informazione sulla TV è pura spazzatura, e anche l'opinione pubblica che, specie a sinistra, si è schierata con Popper, con un Popper in questo caso così teoricamente modesto, più vicino allo scoramento del nonno che alla riflessione del filosofo, è culturalmente molto debole. Il vero problema dell'immagine oggi è di carattere bioetico: qualunque immagine ormai è manipolabile, sintetizzabile, sostituibile. E invece siamo qui ad auspicare per la televisione la 'medietà', l'accettabilità, la non offensività. L'unica certezza invece è che sempre più la televisione sarà incontrollabile, specie nelle sue sempre meno futuribile diramazioni telematiche. Funziona per retoriche occulte. Qui si dovrebbe indagare: sappiamo pochissimo di quel che davvero ci lascia dentro un'immagine, di come continua a convivere con noi, altra carne nella nostra carne."
"In Italia il pre-organo del futuro partito democratico, La Repubblica, mandò pochi anni fa segnali chiari sul cinema: la scoperta luminosa che la vita si rispecchiava nel muccinema. Certo Muccino è abile, non è trascurabile. Un gesto di totale adesione ideologica alla insoddisfazione e autosoddisfazione della piccola borghesia italiana; inqualificabile. Quello è il cinema che è stato agitato, brandito come una rinascita 'critica' del cinema italiano. Mentre se c'è un pregio nel muccinismo è proprio quello del cinismo, fregarsene completamente, costruirsi come uno spettacolino con tutti i sapori amari, acidi, autoritrattino tranquillo e completo di questa società che non riesce a scollarsi un momento dal proprio spettacolo, e che nella sua parte più 'critica', la 'sinistra', riversa tutte le colpe dello spettacolo su una ipotetica parte avversa, su berlusconi, la mafia. Per scontate che appaiano queste colpe, non è bene fare finta che esista una fascia virtuosa nello spettacolo italiano, qualcuno che è al di sopra, un gruppo di privilegiati operatori culturali immuni dal gangsterismo capitalista. Ovvero, fingere che l'immateriale sia immune da questo per poi farne una sorta di armetta ideologica." -
Una mente vulcanica (ma un pò troppo situazionista) sprecata nella televisione italiana
Enrico Ghezzi è, indiscutibilmente, uno dei pochi intellettuali italiani rimasti, nel senso più pieno del termine: provocatorio, stimolante, capace di creare e pensare fuori dalle convenzioni, sperimentatore e affabulatore. Lo considero un riferimento fondamentale per il mio amore per il cinema: senza Fuori Orario la visione di veri e propri capolavori non sarebbe stata non dico possibile, ma neppure concepibile (senza Ghezzi mai avrei saputo dell'esistenza di geni del cinema come Bela Tarr, Amir Naderi, Tsai Ming-Ling, Takeshi Kitano e mille altri).
Detto questo, questa raccolta monstre di tutto (credo) quanto abbia scritto sulla televisione è un oggetto complesso da giudicare: vi sono vere e proprie perle, tra cui tutti gli scritti che narrano dell'ideazione e creazione di Blob ('Non c’è nessuno, tranne noi mostri'), FuoriOrario, Schegge e, in generale, di quell'entità unica e storica che fu la RaiTre di Angelo Guglielmi. Molto interessante, da questo punto di vista, l'intervista in cui si evidenzia come la creatura televisiva, Blob, nasca dal cinema di Debord che viene sfruttato in una televisione che rimangia quello che la televisione mangia.
I testi delle rubriche giornalistiche (su Corriere, Unità, Manifesto, Sole 24Ore) rimangono invece un pò datati, concentrati come sono su eventi televisivi del passato che poco hanno ormai da dire - non credo proprio che Pippo Baudo, Celentano e Maurizio Costanzo siano figure culturali delle quali salvare la memoria. Si nota, in questi testi, che lungo gli anni la scrittura diviene sempre più frammentata e contorta, poco comprensibile e più situazionista ed anarchica, a rischio serio di un gioco formale che fa perdere il senso dei contenuti (il paradosso testuale è un'arma da usare con attenzione e sobrietà).
Ghezzi teorizza su ogni immagine video, su ogni aneddoto di attualità - come lo stigmatizzo' Eco (in una intervento a Fuori Orario che ancora ricordo : "la.tua è una malattia, guardi qualunque film e immagine televisiva senza limiti o selezioni" . E si rischia che la logorrea paradossale e genialoide che funziona sullo schermo sulla carta alla lunga stanchi. E poi (secondo me) la TV non merita tanta attenzione e teorizzazione....
Inoltre, qua e là emerge un certo narcisismo di chi si è fatto creatore senza tecnica o estro, grazie alla televisione:
una cosa nella quale mi ha aiutato la televisione è proprio quella di avermi permesso di sentirmi autore, scrittore, regista, senza il bisogno di fare nulla se non degli spostamenti a volte puramente mentali
la TV risulta quasi un'ossessione bulimica per Ghezzi che, a mio modesto modo di vedere, finisce per esserne fagocitato e (forse) aver dedicato troppo tempo e lavoro a qualcosa di fondamentalmente misero e mediocre:
Può darsi che sia una mia patologia il fatto di non averne abbastanza di una cosa che è così palesemente mediocre, oppure una mia illusione, una proiezione infantile, quella di prestare godimento ad un luogo così palesemente del piccolo piacere.
Ed in conclusione, risulta evidente come, forse, Ghezzi abbia giocato filosoficamente con la TV ed il cinema, in una specie di esperimento destrutturalista e debordiano. Si veda la risposta alla domanda "In cosa credi?"
In nulla, credo. Mi piace l’orizzonte situazionista e anarchico del superamento della politica, -
mi ha tenuto compagnia per...un anno!