The Tongues Blood Does Not Run Dry by Assia Djebar

The Tongues Blood Does Not Run Dry Reviews

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  Dagio_maya

  Lo scrigno (lettura agosto 2016)
  
  Quest'anno ho deciso anch'io di fare un viaggio nel mese di agosto.
  Nessuna coda in autostrada, però, e neppure nessuna attesa interminabile al check– in .
  Una partenza diversa la mia.
  Diversamente intelligente nel suo percorrere pagine fuori dai confini noti: tra Africa ed Asia.
  
  L'ultima lettura dedicata a questo percorso mi ha sorpreso con un regalo inaspettato facendomi conoscere la scrittrice (nonché poetessa, saggista e regista) algerina
  Assia Djebar.
  
  Un incontro folgorante in primo luogo con una scrittura elegante e poetica:
  uno scrigno prezioso.
  
  “Nel cuore della notte algerina” è una raccolta che include cinque novelle, una storia ed un racconto.
  Non si fatica, leggendo, ad abbandonare ogni preconcetto diffuso sulla forma del narrazione breve. Le donne che qui sono protagoniste, infatti, nonostante abitino spazi e tempi diversi, sono, magicamente, legate da un forte messaggio di “sorellanza”.
  Sembra quasi di vedere le mani allacciate, le dita intrecciate e dove il racconto normalmente spezza lasciando dei sospesi qui invece si trova una magica unità narrativa.
  
  Il testo è suddiviso in due parti.
  
  La prima (“Algeria, fra desiderio e morte”) è in bilico tra Eros e Thanathos: donne che sono desiderate e desiderano ed un senso di morte incombente che attanaglia un'Algeria scossa dalla violenza che ogni giorno arricchisce il suo bollettino di guerra.
  Una nazione su cui cala l'oscurità che mette a tacere e punisce chi osa fiatare (”Ma bisogna pure che qualcuno dica le cose a voce alta e chiara, ben forte!”).
  Questa forzata afonia è la notte a cui si riferisce il titolo della raccolta.
  
  Assia Djebar non è stata solo un'artista poliedrica ma anche militante come esponente del pensiero femminista e con il preciso intento di uscire da questo buio (”Contro’, tutti sanno che sono ‘contro’: contro il potere, contro i fanatici, contro il silenzio e l’immobilismo!”).
  Una sola arma a disposizione: la parola scritta.
  
  Potente perchè rende possibile l'impossibile dando voce a quei corpi torturati e a bocche messe a tacere.
  Il racconto come forma di resistenza: Sharazade docet!
  
  Nella seconda parte (“Tra Francia ed Algeria”) la narrazione di concentra sulla questione dell'identità post-coloniale.
  Un percorso che comprende dubbi e dolori.
  E' interessante leggere ciò che fa dire ai suoi personaggi riguardo la lingua del colonizzatore (il francese) che spesso altre scrittrici e scrittori hanno accolto con passività.
  Non è così per la Djbear.
  Nella meravigliosa storia concentrica “La donna fatta a pezzi” la scrittrice è chiaramente riconoscibile nella protagonista Atika:
  
  ”Algeri, 1994. Ātika, professoressa di francese: una lingua che ha scelto, che le dà piacere insegnare.
  Non come fu, un tempo, per suo padre e sua madre che, alla scuola coloniale, erano stati costretti a studiare in francese, anche se lui era berbero e lei araba...
  A vent’anni Ātika, che era nata nello stesso anno dell’indipendenza, decise di laurearsi in francese.
  «Mi stupisci», le disse il padre. «Tu che sei così brava in arabo, ti vedevo bene a studiare linguistica araba, esegesi islamica, diritto musulmano... che ne so?»
  «Lasciala stare», gli disse la madre. «Vedi bene che a casa ci sente ridere, bisticciare e quant’altro... in francese! È noi due che ama, in questa lingua!»
  E Ātika, che conosceva il gusto di sua madre per le storie, per la letteratura, le rispose:
  «Sarò professoressa di francese. Ma vedrete, con allievi veramente bilingui, il francese mi servirà per andare e tornare: in tutti gli spazi e in diversi idiomi!».” .
  
  
  Prima donna del Magreb (unica?) ad essere ammessa all'Accadémie française.
  Più volte in lizza per il premio Nobel.
  Tra le motivazioni della mancata assegnazione pare ci fu una mancanza di adesione a dei temi universali essendo la sua opera più concentrata nell'area mediterranea.
  Come se dare voce alla libertà delle donne e dei popoli sia una questione solamente algerina...
  
  Così Assia Djebar nella postfazione:
  
  ”In queste novelle (che comprendono anche un racconto e una storia), cosa ho cercato fra due spazi, tra Francia e Algeria, oppure soltanto in quest’ultima, sempre più dilaniata fra desiderio e morte? Che cosa ha guidato il mio impulso a continuare, gratuitamente e inutilmente, il racconto delle paure, dei timori còlti sulle labbra di tante mie sorelle allarmate, espatriate o in costante pericolo? Null’altro che il desiderio di raggiungere quel “lettore assoluto” – ovvero colui che, con la sua lettura di silenzio e di solidarietà, permette che lo scrivere dell’inseguimento o dell’assassinio liberi almeno la sua ombra che palpiterebbe fino all’orizzonte...
  Ma me lo chiedo: esiste ancora, oggi, del rosa, al calar del sole, al sanguinar del sole, nel cielo algerino?
  Parigi, agosto 1996”
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  Neal Adolph

  Last night I couldn’t sleep. My mind was racing, on a high of two cups of coffee, and on a low of a deep shame for something that I had said to a friend earlier in the day. In both instances I should have known better. My body doesn’t rest well once it has had coffee of any amount. And then when the caffeine hits my blood it throws me out of wack. I get jittery. I acquire sweats. I lose an important filter, and I become more honest with whoever it that is around me. And then I don’t sleep. Last night I was laying in bed, trying to find something to burn off some energy without causing noise for my room-mates. I picked up this book. I put it down whenever I yawned. I picked up this book again. I put it back down when a drop of sleep fell from my eyes. I picked up this book. I put it back down when I finished it. I stayed awake for another three hours. Damned coffee.
  
  I’ve been trying to broaden my reading palette for a few years now. One of the most rewarding results has been reading more women from more regions of the world, and, in the process, finding some truly lovely literary voices. I would count Assia Djebar’s voice in that group.
  
  Here you hear the voices of deep mourning produced by war. They are soft voices. They are gentle voices, weathered but enduring, weak and strong in equal measure. They have a melancholy and sadness built into their sentence structures and their words. Every letter, one could say, is written in an ink that, as you turn the page, seems to induce the feeling one gets just beneath the surface in the moments before an emotion, any emotion, takes control. And, they are extraordinarily feminine voices, unashamedly maternal, loving and compassionate; these seven stories are mostly the stories of women, of their strength, in a society that has deep and powerful rifts and sudden, terrifying shifts in power. These are stories of life and death in that space in between and inside Algeria and France - that space reserved for refugees, for asylum seekers, for lovers, for their children and their families, the invisible and bountiful, confusing relationships that are obstructed from our eyesight.
  
  I want to get back to the writing for a moment, because it is often exceptional, and particularly exceptional when she talks about the bond between wife and husband and the immediate but long-enduring decay that one feels when the other is lost. There is a great, powerful murmur here, like a low and silent prayer in the corner of a room then doesn’t end, that permeates the air and the walls with a reverence and a sadness. You hear the sound of a heart crackling and a mind bending as it responds to the loss of a family member, or of a family, and you feel the distance that separates people who have lived and loved in different continents but still remain connected and loved in the opposite one. The murmur converts itself into a hum over the pace of the book, but it never draws attention to itself. It source, whoever or whatever that might be, sits at a window, bathed in sunlight, but doesn’t speak.
  
  This isn’t easy work on the part of the author. I often think that compassionate writing is the hardest form, especially in the short story form, because you have to make characters who are likable and who the reader can empathize with in a very short time, in a few sentences you have to build this person into something worthy of the reader’s love and admiration and heart. Assia Djebar manages just that. I think a lot of that has to do with her words and rhythm. She is gentle, her words are round, her sentences thick and lavish and covered in a new, pure, perfect black velvet. Everything rolls along a river of reality rather than bounces in bloodied streets.
  
  Nearly every story contains something memorable in it, but they are not, as a whole, perfect or consistent stories. At times they carry the radiant, soul-lifting lilac in bloom, the smell of earth just turned over after a long winter, the decomposition of a whole season lifting into the air like a brand new form of respiration, and sometimes they smells a little rancid, milk left out in the sun, not quite right, and sometimes they carry the alarming odor of iron flaking off in dried, red, blood, danger. Much of this variation, I suspect, comes down to the writing (which, despite its strengths, is rarely impeccable), but the occasional character falls flat somehow. For example, the first two stories are nearly completely forgettable, and the final story, despite the moments of beauty and the gentle handling of its ideas and themes, doesn’t quite reach the heights that it could or should, largely because of the narrator. That said, there are a few that are really good, and at least one which is amazing. These are almost all in the first part of the book, and they are the tightest, most heart-rending of the stories to be found here. Images of women rediscovering long lost children, of them returning to a long-lost city to mourn a dead or dying aunt, of the discovery that they were a target in the same attack that killed their husband, that they were to become a broken body defecated by a history of oppression and war for which they bear no responsibility.
  
  Of all the stories one is, to my mind, the work a great literary power at the height of her ability. If you can’t find this book but can find the story somewhere, read “Woman in Pieces”. It is marvelous, thick, beautiful, and sad. And it made me want to read 1000 Nights and 1 Night. That’s not a minor accomplishment. Another, “The Attack”, is very nearly in the same league, and a third, “Burning”, was the first story that made me fall in love with this book. These are some of the largest stories in the book, which makes me wonder about her novels, and about the occasional perils of the short story form when it is, indeed, short. About her novels, I look forward to turning to them in due time, once I have been to another bookstore in another city and, in perusing the shelves, I manage to come across her name calling to me from a spine. Assia Djebar.
  
  I had a thought for a moment, a thought about three quarters of the way through this book, about how compassionate literature about people between countries, particularly two countries whose histories are so bloodily entwined and who presents are, in their portrayal, so bound up in suspicion and hatred, compassionate literature can help us empathize and understand that “other” that we have created and, in the process, break down the walls between us and admire our mutual humanity. Our hope for security. Our need for love. Our heartbreak when the man we have circled our life around is shot dead in a crowd. Literature like this is important.
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  Ajeje Brazov

  Il 5 Luglio 1962 l'Algeria riesce a conquistare l'indipendenza, dopo più di un secolo dalla colonizzazione francese. Giorno, che segna la storia di un paese, ma purtroppo non è tutto oro quel che luccica...
  La presente raccolta di racconti, ha come sfondo storico proprio quel periodo dove sangue, morte, distruzione e privazioni, sono all'ordine del giorno. E se è di donne che si sta parlando, le discriminazioni e le privazioni personali, sono all'apice... purtroppo!
  Assia Djebar ci accompagna nel corso di questi racconti, attraverso la vita quotidiana di donne che hanno sofferto, che hanno patito la morte ecc... tra l'Algeria e la Francia...
  Scrittura davvero molto intensa, le pagine trasudano di realtà, di monito su un futuro fatto di condivisione e non di repressione, di amore verso tutti e non solo a se stessi, di unione e non di separazione.
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  Stef De Meyer

  een solide 3,5, een minpuntje is hoe de tekst naar mijn aanvoelen van heel bevlogen geschreven naar relatief oubollig gaat soms
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  Serena

  La mia recensione per Mangialibri
  http://www.mangialibri.com/libri/nel-...
  Non è facile far sentire la propria voce quando si vive sospesi tra due culture, quella algerina e quella francese. Non è facile soprattutto se il periodo storico è la guerra d’indipendenza algerina e se quella che chiede di essere ascoltata è una voce di donna. Lo sa bene una delle narratrici che, ancora bambina, ha sacrificato alla guerra ciò che di più caro aveva al mondo: mamma e papà. Cresciuta dalla zia materna, ripercorre con il viaggio e con la scrittura il “vuoto in una lingua muta” che Orano, città natale, ha lasciato in lei… anche Wardya sa bene quanto sia difficile essere donna, avere vent’anni e vedersi improvvisamente privati della libertà per non disonorare il buon nome paterno… e poi ancora Isma che vive la sua giovinezza in clandestinità, nel terrore di essere trovata e uccisa, ma che suo malgrado non riesce a sfuggire all’amore… lo sa bene anche Atika, professoressa di francese ad Algeri: appassionata di letteratura e politica, analizza con gli alunni alcuni brani tratti da Le mille e una notte e diventa lei stessa una moderna Sherazad…
  Nel cuore della notte algerina, pubblicato per la prima volta nel 1998, viene riproposto da Giunti in una nuova edizione. Sviluppato in due parti e sette racconti, il volume ruota attorno a figure femminili di diverse età ed estrazioni sociali. Spesso sono le protagoniste a parlare in prima persona, altre volte sono parenti e conoscenti a raccontare per loro. Direttamente o meno, ogni vicenda è legata ai fatti accaduti nei decenni fra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso in Francia e Algeria. Conflitti armati, attentati sanguinosi che coinvolgono anche civili, formazioni terroristiche e contestazione politica aprono una finestra su un periodo storico che forse, per noi italiani, non è stato ancora approfondito a sufficienza. Assia Djebar vuole fare proprio questo: offrire un ricordo di tutti quegli uomini e donne che hanno pagato la difesa di un ideale a prezzo del proprio sangue o di quello di coloro che amavano. C’è molto dolore in queste pagine, ma anche molta dignità e, nonostante ne emerga una critica verso alcuni aspetti del mondo islamico, c’è anche tanto amore per l’Algeria. Attraverso una narrazione sensuale, a tratti onirica e vicina alla fiaba, l’autrice travolge il lettore e lo immerge in odori, colori, accezioni linguistiche e religiose proprie del mondo algerino.
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  Melissa

  Sublime, wrenching and sometimes tragic stories of women navigating Algeria's changing cultural landscape in the mid-1990s written by a master. Excellent translation from the French.
  
  I picked this up at the Strand during Book Riot Live last year, having previously enjoyed Children of the New World - to my surprise the copy is signed by Djebar (who unfortunately passed away a few years ago).
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  Simona Stefani

  Assia Djebar nella vita ha fatto tutto: è stata scrittrice, docente, cineasta, saggista, poetessa, è stata la prima donna a diplomarsi a l'Ecole Francaise ed ha vissuto tutta la sua vita tra l'Algeria e la Francia. La sua cultura le ha permesso di descrivere con estrema chiarezza un Paese in trasformazione, dalla sudditanza francese all'indipendenza, avvenuta nel 1962. Questo libro è una raccolta di novelle, racconti ed una storia ambientati nell'Algeria degli anni dell'indipendenza. Sono racconti duri, crudi, stagliati sulle brutture di un Paese fortemente in crisi politica, allo sbando e lacerato dai continui ed interminabili attentati. Le donne sono le protagoniste pressoché assolute assieme alla lingua araba e berbera che, contrariamente al titolo originale del libro "Oran langue morte" (Orano lingua morta), si fa viva e vibrante, rotonda e succulenta, che riesce a rendere un posto "casa". La scrittura della Djebar è magistrale, la sua prosa è davvero lirica e poetica, che non lascia assolutamente indifferenti.
  Il racconto più celebre è sicuramente "La Donna fatta a Pezzi", storia di un'insegnante che viene uccisa durante una delle sue lezioni in cui stava analizzando assieme ai suoi studenti un passaggio de
  Le mille e una notte. La testa viene tagliata ed appoggiata sulla cattedra, ma questa termina di raccontare la splendida storia prima di spegnersi definitivamente.
  Il racconto che ho apprezzato meno è quello che chiude la raccolta, "Il corpo di Félicie": una lettera d'amore di un figlio alla propria madre in coma. L'amore è talmente potente che a tratti sfiora il sentimento incestuoso. La scrittura è sempre elevatissima, ma io l'ho trovato imbarazzante.
  
  Letto per #ilgirodelmondoin12letture Marzo - Nord Africa
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  Tutankhamun18

  Hard to connect with but passively interesting. However I read this as a complete outsider and so know that I am not the target audience and am hereby not critiqueing the quality.
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  Karina Montalvo

  Las historias que Assia Djebar escribe en este libro exponen los problemas subyacentes a la guerra civil de Argelia en los 90's, sobre todos aquellos que recaen sobre las mujeres. Mis cuentos favoritos: "Oran, dead language" (sobre la lengua y la identidad), "Mother and daughter" (dos mujeres solas tras la muerte del padre a quien le negaron ayuda en el hospital), "The woman in pieces" (violencia contra una profesora que retoma un cuento de Sherezade) y "Annie and Fatima (migración); estos, en mi opinión, representan lo que es este libro.
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  Charlie Crook

  Really, really, really depressing. I don't think there's a whole lot of hope in these stories, just pain. I finished this novel with a few reading hours left for the night, but then couldn't concentrate on anything else. I kind of felt depressed and wondered why I would read something that put me in such a bad mood.
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  Rachel

  This is a collection of stories focused on Algerian women and their experiences primarily centered in the 1990s, during the Algerian Civil War. Some worked better for me than others. These are often sad, sometimes brutal, but also filled with rich historical and cultural detail. While not a genre or style I really care for, it’s well done, and evokes a strong sense of time and place.
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  Alice

  Yikes... beautiful, violent, heart-wrenching stories that highlight the gaps left when friends and family are suddenly missing from our world.
  
  Not sure I'd recommend reading before a trip to Algeria though... Maybe for after a trip.
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  feux d'artifice

  Truly Assia Djebar is a master of words, hats off. Read if you wanna be brought to your knees in tears and utter dévastation by a master wordsmith at the height of her craft. 👌
  
  I bought this on the strength of La femme en morceau alone, and the whole collection was worth every cent.
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  Emma

  Well, that was a disorientating experience. Beautiful, lyrical and calamitous writing. I liked it. Worth a shot.
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  Stan Georgiana

  3.5
  
  Second book of 2022 for Invisible cities project
  Country: Algeria
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  Bill

  Love, death, and memory are perhaps the three central themes of Djebar's wrenching collection of stories The Blood’s Tongue Does Not Run Dry, which was recently translated into English by Tegan Raleigh. When death appears in the text, it always violent, relentlessly stalking the characters as they each try to impose some sense on their surroundings. The Algeria chronicled in this book (that is to say, a country at the height of a fratricidal civil war) seems to resemble Europe during the Black Death. Life appears to go on normally, but in the midst of it all people just suddenly die.
  
  Ah, one might say, but the violence in Algeria was targeted at specific people, and did not affect people randomly, the way a disease might. I did not get this sense from Djebar's stories, however. The French murder the Algerians, the Algerians murder the French, the Algerians murder each other. Murder in these stories is not politicized, although there is a strong implication that, to speak out, for whatever reason, is to court summary execution—trade unionists, teachers, and journalists being among the most prominent victims.
  
  The young teacher Atyka assigns her class a story from The Thousand and One Nights, in which Harun Al Rachid must assign responsibility for the mysterious death of a beautiful young woman found chopped into pieces in a chest. As the number of contributors to her death multiplies, it becomes ever harder to isolate a culprit. Likewise, Djebar's stories have very little to say about culprits, but a great deal to say about the victims of violence. 
  
  Felicie Marie Germaine, French expatriate, is one the few people who dies of natural causes in this book. Comatose in her French hospital bed, she is the subject of her Algerian children's long reveries about life with their father, Mohammed "Moh" Miloudi, “a nobleman when he spoke his mother tongue and a worker from the lowest class when he went over into French.” It turns out that, as a woman of French origins, her throat was nearly cut by an Islamist insurgent whose hand was arrested at the last minute by the tiny gold Koran on a chain that Moh had given her. After three days of detention, she was returned to her traumatized family. After Moh’s death, she departs for Paris with her family. The fact that she survives the war only to die in her Parisian hospital bed is as fortuitous as the abrupt and bloody deaths of other characters in the novel. She returns to Algeria one last time, in a coffin tagged with the name “Yasmina Miloudi,” in order to persuade the authorities to allow a French Catholic to lie by her Algerian husband in a local cemetery. In death, at last, the characters are united in all the ways that life did not allow.
  
  (With thanks to LL).
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  ElenaSquareEyes

  A collection of short stories that were written in 1995 and 1996 – a time when, by official accounts, some two thousand Algerians were killed in Islamist assassinations and government army reprisals.
  
  This collection of short stories is split into two parts. The first is titled “Between Desire and Death” and the stories are equal parts romance and the horror of death and violence. The second is titled “Between France and Algeria” and centre on characters who are pulled between the two countries and may not feel they fully belong in either of them.
  
  Even though they were more shocking and tougher to read, I preferred the stories in the first part of The Tongue’s Blood Does Not Run Dry. They are little snapshots into a character’s life as they deal with the threat of violence and assassination for their beliefs or heritage, or its about what happens after a loved one is killed. The stories focus on women and how they struggle to deal with the changing cultural landscape in Algeria. There’s some liberation but then there’s those who fear liberation and want to kill those who they feel don’t have the correct values.
  
  There’s an underlying feeling of grief through all of the stories in The Tongue’s Blood Does Not Run Dry. Grief for a loved one who is assassinated, grief for the loss of naivety, grief for the loss of a culture, a home, or a language. A lot of the stories feature characters who were born and raised in Algeria but then moved to France as they got older. With that move came the issue of identity, whether they saw themselves as Algerian or French or a mixture of both, and perhaps guilt or fear over what was happening in Algeria, especially if they were removed from it and seemingly safe.
  
  Once again, reading a book for my Read the World Project has led me to do more research about a certain moment in a countries history that I knew nothing about. These short stories came about from conversations between the author and fellow Algerians who lived in Paris, so there’s truth behind the fiction which makes these stories even more wrenching. The Tongue’s Blood Does Not Run Dry is a collection of short stories where each one is impactful as the last.
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  Røbert

  A set of Algerian stories, linked by the themes of identity and struggle. Mostly told from the point of view of women as national and international concerns affect personal lives in painful and fatal ways. The struggle for identity of the country during and after its messy divorce from France is played out in the characters own contradictory and confused identities. The title nicely picks up on the part of language in identity -- French, Arabic and Berber -- as well as the urgency and importance of these stories being told come what may.
  
  Powerful and poetic writing, which comes over well in Tegan Raleigh's English translation. Not a cheering read, but an important one, whose themes are relevant to today's conflicts around the world.
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  Heather S. Jones

  wowowow -- i really make it a priority to read collections like this about women from more troubled parts of the world. this was gloriously lyical and tremendously sad!
  
  i returned the book before i could record some of my favorite snippets. drat!
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  Beluosus

  Sa prose évoque les souvenirs, à la fois brumeux avec le temps et d'une clarté perçante. Je ne sais plus quoi dire, sinon que c'est une des plus beaux, des plus déchirants livres que j'ai lu cette année.
• 
  Michael Standaert

  A friend of mine, Tegan Raleigh, translated this collection of stories.
• 
  Teresa

  ***1/2 "The stories linger on in your mind long after you've started a different narrative."
  read more:
  http://likeiamfeasting.blogspot.co.uk...
• 
  Sheila

  
  My Review>
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  Dani DiCenzo

  Djebar's writing really impressed
• 
  Meg

  Amazing!